Hygie e Panacea
di Frédérique Nalbandian
Dall’8 maggio al 3 settembre 2021
Mostra Hygie e Panacea, Frédérique Nalbandian, Galerie Eva Vautier, maggio 2021 © Foto François Fernandez
Toccare
“Per esprimere la vita, i verbi d’azione sono più utili delle parole “*.
I verbi d’azione sono al centro del lavoro di Frédérique Nalbandian. L’artista afferra, immerge, accartoccia, manipola, scolpisce e modella il sapone. Con pazienza e forza, dà vita a forme antiche. Le figure di Hygie e Panacea, dee che personificano rispettivamente la salute e il rimedio universale, ci accolgono nella galleria, che assume l’aspetto di un tempio con il suo spazio alto e stretto. Come non guardare con stupore quest’opera di sapone quando viviamo in un’ossessione senza precedenti per il lavaggio delle mani e la paura delle malattie?
Frédérique Nalbandian invita il visitatore a toccare le sue opere dopo essersi bagnata le mani. Nello spazio artistico viene eseguita una cerimonia di purificazione profana. Si tocca la statua e la chimica del sapone funziona. Sotto l’aspetto contingente, il sapone è in realtà un materiale solido e molto compatto che può rimanere inalterato per molto tempo, anche in presenza di acqua. In effetti, senza attrito, il sapone bagnato non svanisce affatto. Bisogna strofinarlo, accarezzarlo, afferrarlo completamente in modo che inizi a scomparire.
Lo spettatore partecipa al “processo creativo “*: la sua immaginazione è altrove, in Grecia, tra le rovine di un tempio, mentre il suo corpo e la sua mente sono lì, convocati attraverso l’olfatto, la vista, l’udito e il tatto: “Questo fenomeno può essere paragonato a un ‘trasferimento’ dall’artista allo spettatore sotto forma di osmosi estetica che avviene attraverso la materia inerte “*.
L’artista tocca per formare e, allo stesso tempo, ci invita a toccare quando toccare l’altro è diventato quasi proibito. Questo strofinare, sfiorare e accarezzare sono al centro di una strana storia della scultura: quella delle credenze e delle superstizioni in nome delle quali, con gesti ripetuti mille volte, il pubblico altera le statue il cui contatto si suppone porti fortuna, garantisca amore e guarigione. Questi gesti teneri ma distruttivi alterano il colore di un marmo o levigano la superficie di un bronzo fino a renderlo magico. Tocchiamo poi per toccare a destra. Lo stigma di queste credenze e superstizioni è funzione del tempo, del numero di carezze, della forza dell’attrito, parametri di una meccanica del voto, di una fisica della promessa.
* Olivier Remaud, Penser comme un iceberg, Actes Sud, collana Mondes sauvages, ottobre 2020.
* Marcel Duchamp, Il processo creativo, Envois, L’échoppe, novembre 1987.
* Marcel Duchamp, Il processo creativo, Envois, L’échoppe, novembre 1987.
Testo di Bérangère Armand
Reportage di Alain Amiel